La paura di chiedere aiuto.

La paura di chiedere aiuto è più diffusa di quanto si possa pensare; evitandola perdiamo però, la possibilità di sperimentare la gentilezza degli altri e di arricchire il nostro punto di vista.

Inoltre, procrastinare una richiesta di supporto, può portare a un peggioramento della situazione in atto, esponendoci a rischi pericolosi.

Solo una piccola minoranza di persone che affronta una malattia complessa o invalidante, che è in lutto, che assiste malati gravi, che si confronta con la tossicodipendenza, che subisce violenza, riesce a riconoscere la propria fragilità ed attivarsi per chiedere aiuto.

Ma cosa ci porta ad avere così tanta paura di rivolgerci ad un sostegno quando siamo in difficoltà?

L’aiuto sociale, è spesso scarso e le iniziative di sostegno privato o sono costose, oppure, faticano a farsi conoscere. E’ un dato interessante che molte associazioni che offrono gratuitamente sostegno per i più disparati problemi, abbiano spesso meno partecipanti di quelli che riuscirebbero a gestire.

Tuttavia, perché? Perché abbiamo così tanta paura di chiedere aiuto? Si possono fare alcune ipotesi.

L’individualismo della nostra società gioca una parte importante: ci hanno insegnato che valiamo tanto più quanto siamo indipendenti, capaci di gestire autonomamente i nostri successi e insuccessi, rialzandoci dalle nostre cadute.

Individualismo che si accompagna spesso ad una punta di arroganza ed impedisce l’esperienza dell‘umiltà. Farsi ultimi, piccoli: solo i veri forti possono concedersi di guardare al proprio limite ed alla propria piccolezza senza intaccare il proprio valore; ciò porta a considerare erroneamente l’umiltà come umiliazione.

Questa prospettiva contrasta l’antica idea di “comunità”, in cui la solidarietà tra individui è quotidiana. La comunità e la socialità erano fondamentali per garantire la sopravvivenza e forse, avendo vissuto per millenni in piccole comunità, non ci siamo ancora adatti a vivere da singoli in un mondo sempre più complesso e ostile.

Un ulteriore aspetto è legato alla falsa idea che ci “spetti” per diritto la soddisfazione di un bisogno senza che venga esplicitato. Non è necessario esprimere concretamente niente perché, la necessità è talmente evidente che se l’altro non la appaga è per cattiveria. I rapporti umani sono spesso permeati da questo meccanismo: dall’amicizia alla coppia. Se nell’amicizia questo comporta la rottura della frequentazione, nella convivenza la questione si complica perché tale atteggiamento, spesso condiviso da entrambi, porta all’aggravamento delle difficoltà comunicative e al deterioramento del rapporto fino a quando, di solito il più sano, dice “basta”.

Questa modalità, basata più sul non dire che sul dire, si può osservare spesso nelle crisi di coppia: rivendicazioni classiche sono: “se una persona ti vuole bene sa quando hai bisogno d’aiuto”, oppure “come fai a non accorgerti di come sto?”. E’ implicita l’idea che le persone siano in grado di leggere la mente o che l’amore doni questa facoltà, ma ho una brutta notizia: non è così. Ognuno di noi può soffrire perchè ha avuto una pessima giornata, perchè ha dolori fisici, perchè è morta l’iguana domestica, oppure perchè non è soddisfatto del lavoro, ma se non lo esprime chiaramente è impossibile comprenderlo.

Un altro fattore che influisce sulla difficoltà nel chiedere aiuto riguarda il pudore, la vergogna di sperimentare la sofferenza: essere malati, sentirsi disperati, esposti al dolore, sono condizioni spesso viste con un certo sospetto, come se fosse colpa nostra se incontriamo il disagio nella nostra vita. Per questo, molti di noi evitano di rendere pubblico il proprio malessere, per prevedere e prevenire l’allontanamento del prossimo, imbarazzato e incapace di confrontarsi con il nostro dolore.

Non vogliamo confrontarci con il dolore, la paura, la tristezza, la solitudine e per non sentirli abbiamo trovato metodi pessimi come ingozzarci di cibo, utilizzare sostanze che ci stordiscano come alcol e droghe oppure correre frenetici, riempire la vita di oggetti, impegni, persone da vedere per pranzo e per l’aperitivo, di sicurezze da garantire a noi e alla nostra famiglia, di benessere materiale da raggiungere. A questa velocità non si prova nulla, né di negativo, né di positivo. Non dolore, ma neanche gioia e amore, solo anestesia.

Sogyal Rinpoche, maestro buddhista e lama tibetano scrive: “E’ come se fosse la vita a viverci, anziché il contrario; come se possedesse una sua bizzarra dinamica che ci trascina via, e alla fine abbiamo l’impressione di non poter più decidere né tenere le cose sotto controllo”. Paradossalmente proprio il controllo era l’obiettivo di quella forsennata corsa.

Cosa può aiutarci a superare la difficoltà a chiedere aiuto?

Partire dalle piccole cose: se ci sentiamo bloccati nel farci aiutare, potremmo allenarci iniziando a domandare semplici atti, e poi osservare come gli altri, rispondono alle nostre richieste. Chiediamo un bicchiere d’acqua, di accompagnarci da qualche parte, di avere una porzione extra a pranzo. Qualunque richiesta andrà bene purché ci mettano un minimo a disagio, ma non così tanto da paralizzarci e farci desistere dal compito.

Considerarlo un atto di coraggio: occorre modificare l’atteggiamento mentale verso il chiedere aiuto. Troppo spesso associamo una richiesta ad una debolezza che dovremmo nascondere invece che mettere in mostra. E’ un meccanismo che spesso si incontra in studio: capita infatti che giungano persone considerando lo psicologo l’ultima possibilità prima del baratro. I professionisti della salute mentale sono purtroppo, ancora visti troppo spesso come i medici dei deboli: pregiudizio diffuso quanto pericoloso.
In realtà iniziare un percorso psicologico o piscoterapeutico è un atto di grande coraggio: ci si mette in gioco, si affrontano le paure, si cerca di migliorare, si cade e ci si rialza, insomma tutto il contrario rispetto alla debolezza.

Ascoltarsi: un punto importante nell’ottica di migliorare la nostra richiesta di aiuto è quello di ascoltarci e mettere a fuoco le nostre paure. È necessario capire dove siamo più vulnerabili, perché solitamente è laddove siamo particolarmente sensibili che abbiamo difficoltà a chiedere aiuto.

Riflettere su cosa ci porti a ritenere che chiedere supporto sia segno di debolezza. Ci sono molte possibili ragioni che potrebbero influire sulla paura di chiedere aiuto, ed è importante provare a restringere i motivi per trovare quelli che si adattano proprio al tuo caso. Valuta se la tua propensione a non chiedere o a non cercare aiuto abbia qualche beneficio per te stesso e per gli altri.

Può essere piuttosto arrogante illuderti e pensare di poter dare aiuto e consigli ma di non aver mai bisogno di accettarli a tua volta. Questo, sostanzialmente, porta solo alla solitudine e all’angoscia, perché serve soltanto a farti allontanare dagli altri.

Considera la reciprocità; pensa alle volte in cui hai aiutato gli altri usando le tue capacità, le quali possono darti sicurezza in te stesso e spingerti a chiedere senza problemi aiuto o suggerimenti agli altri. Aver ricevuto una formazione in un certo campo e disporre di una determinata esperienza non ti rende immune dalla possibilità di continuare a chiedere aiuto ad altri esperti nello stesso settore o di altri ambiti. La tua ricerca, i tuoi consigli e le tue capacità pratiche non faranno che migliorare se cerchi supporto negli altri; inoltre, potrai guadagnare un accesso a nuovi metodi e idee, potenzialmente capaci di far ottenere grandi benefici a tutti.

Tieniti alla larga dall’illusione che tutti i problemi siano facili da risolvere o che le difficoltà che necessitano di una soluzione si applichino solo ad alcune persone. Può essere fin troppo facile respingere il valore o la profondità dei tuoi problemi personali, e quindi doverti scusare per aver bisogno di una mano. Non esiste una gerarchia dei problemi, o una scala per misurare il dolore. Un problema è un problema, che sia facile o difficile. La vera discriminante è la portata dell’impatto negativo che esso ha su di noi, non permettendoci di proseguire lungo il corso della vita. Minimizzare o screditare una difficoltà o affermare che non ha bisogno di essere risolta non fa che renderla ancora più grande e acuire la sofferenza.

 

Davide Boraso
Psicologo – Psicoterapeuta
Terapeuta EMDR e MindfulnessBCT.

 

 

Bibliografia

Sagyal Rinopche – Libro tibetano del vivere e del morire. Astrolabio Roma. 2014.