L’influenza della pandemia sulla salute mentale e sull’attività fisica

Il Covid-19 ha avuto conseguenze sulla salute pubblica che travalicano l’aver o meno contratto la malattia. La pandemia e le restrizioni ad essa connesse hanno inasprito e acutizzato i problemi di salute mentale oltre al fatto che la difficoltà a mantenere costante il livello di attività fisica ha avuto ricadute sul benessere fisico e mentale. Questi due aspetti della salute pubblica sono diventati delle criticità soprattutto per le famiglie a basso reddito, che hanno maggiormente avvertito gli effetti dei cambiamenti avvenuti nel singolare periodo storico che stiamo attraversando.

Numerose sono state le persone a cui la pandemia ha creato o aumentato il disagio psicologico e, nel momento in cui ciò si è verificato, si è riscontrata di pari passo una notevole difficoltà nel mantenimento dell’esercizio fisico, creando un ulteriore danno per la salute mentale.

Pandemia, salute mentale ed esercizio fisico interrotto: il ciclo spietato di Haynes-Maslow

Si è così innescato quello che è stato definito un “ciclo spietato” da Lindsey Haynes-Maslow, professoressa di Scienze Agrarie e Umane presso la North Carolina State University.

Haynes-Maslow è co-autrice di uno studio che ha evidenziato come l’attività fisica sia fondamentale per contribuire a mantenere un buon livello di salute mentale e come la pandemia abbia avuto conseguenze negative su tutti e due gli aspetti. Le persone sono diventate meno disposte ad essere attive e hanno incontrato problemi nel reperire spazi sicuri in cui fare esercizio fisico.

Il filo conduttore di tale studio è stata la ricerca della relazione tra attività fisica e stato di salute mentale e in che modo la pandemia abbia influenzato entrambi.

Il sondaggio si è svolto on-line in Louisiana, North Carolina, Montana, West Virginia e Oregon, tra aprile e settembre del 2020, su un campione di 4026 persone. Ha rivelato che nei soggetti che praticavano maggiormente l’attività fisica era migliore lo stato di salute mentale. Lo studio è stato abbinato anche all’analisi della razza o etnia degli individui, del reddito famigliare e di altri fattori socio-economici e variabili demografiche. È emerso che le persone appartenenti a famiglie con un reddito più elevato avevano la possibilità di mantenere l’esercizio fisico a livelli pre-pandemia; infatti tale probabilità era 1,46 volte maggiore nei nuclei famigliari con introiti superiori a 50.000 dollari all’anno.

Inoltre è stato evidenziato che chi abitava nei centri urbani aveva maggiori difficoltà nel riportare i livelli di attività fisica ai valori antecedenti le chiusure legate al Covid-19 rispetto a chi viveva nelle zone rurali. Normalmente è proprio chi vive nelle aree lontane dalle città a sviluppare più problemi di salute mentale, tendenza che la pandemia ha invece invertito.

Chi abitava distante dai centri urbani, infatti, aveva a disposizione ampi spazi per potersi comunque dedicare all’attività fisica, mentre le persone che abitano in città sono state costrette a rimanere chiuse fra le mura domestiche per periodo di tempo prolungato.

L’impossibilità a svolgere esercizio fisico ha provocato ripercussioni sulla salute mentale, innescando il ciclo definito appunto spietato.

Haynes-Maslow, commentando i risultati dello studio, ha affermato come sia necessario intervenire nell’immediato per far sì che, in caso di crisi future, questo meccanismo non si presenti nuovamente. Bisogna creare degli spazi sicuri a cui tutte le persone possano accedere e che consenta loro di mantenersi in questo modo attive. Per far ciò ci dovranno essere dei cambiamenti strutturali quali la realizzazione di aree verdi che comporteranno notevoli finanziamenti: sebbene ciò possa sembrare oneroso in questo momento, consentirà di risparmiare in futuro sui costi per le cure dei problemi di salute sia mentale che fisica. Insomma, secondo la studiosa, si tratta di un vero e proprio investimento sulla salute mentale comune, che però porterà un rientro in benessere generale oltre che un risparmio economico a lunga scadenza.

Lo studio è intitolato “Esame della relazione tra attività fisica e salute mentale durante la pandemia di Covid-19 in cinque stati degli Stati Uniti” ed è consultabile sulla rivista Preventive Medicine Reports.

Gli altri studi scientifici sulle conseguenze della riduzione dell’attività fisica nel lockdown

Quelle che sono emersi dallo studio di Haynes-Maslow non sono delle conclusioni isolate. Analogo risultato ha mostrato un sondaggio pubblicato sulla rivista inglese Scientific Reports e condotto su un campione di 35.915 adulti, in cui si è osservato che il 29% dei partecipanti aveva ridotto l’attività fisica durante il primo lockdown in Inghilterra, precisamente tra marzo ed agosto del 2020.

Inoltre, tra le persone i cui livelli di esercizio fisico non erano mutati, si è riscontrato un 19% di soggetti che è rimasto costantemente inattivo. Lo studio è stato associato a diversi fattori quali il reddito famigliare, l’età e l’istruzione.

Visti i dati, si comprende che è necessario un intervento con una campagna per promuovere l’attività fisica tra la popolazione in generale.