I bambini alla nascita, non ereditano l’intelligenza; le capacità e le abilità mentali si sviluppano nel corso degli anni.
Rapportandosi a loro con consapevolezza si può favorire lo sviluppo mentale, l’emergere delle risorse e la messa a frutto del potenziale in ogni aspetto della vita. Alcuni spunti potrebbero essere utili per comprendere come allenare lo sviluppo mentale dei bambini.
– Insegniamo a programmare.
Aiutare i bambini a programmare, oltre a contenere la loro tendenza a operare casualmente, permette loro di comprendere lentamente che per raggiungere un obiettivo o uno scopo occorre seguire dei passi ben precisi e nulla accade”magicamente”.
Es. “Non abbiamo più cibo a casa, ora andiamo a fare la spesa. Al ritorno dal supermercato sistemiamo gli acquisti e dopo giochiamo insieme.”
La frase, anche se banale, racchiude una pianificazione precisa delle azioni e termina con il “premio” del gioco; è infatti importante ricordare che la gratificazione viene dopo il dovere.
Es. Prima sistemi la tua stanza, poi esci a giocare con gli amici.
– Stabiliamo regole e limiti
Stabilire delle regole è fondamentale: imparare ad accettarle, anche quando sono scomode è un processo necessario, che può contribuire a rendere i bambini più attenti ai bisogni degli altri e più capaci nell’autodisciplina.
Inoltre, contribuisce ad aiutare i bimbi ad avere delle certezze e sicurezze, senza cui potrebbero essere in balia del caos. Non c’è un periodo in cui si dovrebbe iniziare a dare regole e limiti, la maggior parte degli studiosi è concorde sul farlo il prima possibile. Il bambino infatti deve abituarsi da subito all’idea che anche chi lo ama di più, non ritiene sempre giusto soddisfare i suoi desideri e che non esita, quando è necessario, a imporgli frustrazioni e sacrifici a fin di bene.
– Non diamo per scontato che quando parliamo ai bambini ci stiano ascoltando o capendo.
Gli insegnamenti non possono essere appresi o saranno validi se il bambino non ci sta ascoltando o non ha capito cosa abbiamo detto: se ad esempio giocando ha colorato tutta la casa, cane compreso, non basta sgridarlo, ma va spiegato il motivo e perchè quell’azione non dovrebbe essere più compiuta. Per farlo è fondamentale stabilire un contatto fisico e visivo, è sconsigliabile sgridarlo o comunicare da una stanza all’altra. Dopo aver spiegato le conseguenze della sua azione lo si può far ragionare emotivamente con frasi come: “come staresti se ti pasticciassi tutti i giochi o un altro bimbo te li rompesse?”
– Facciamo sentire loro che hanno la nostra fiducia, accettandoli così come sono.
Tutti abbiamo bisogno di sentirci amati e stimati, ma in particolar modo i bambini: il grado di fiducia che dimostriamo nei loro confronti condizionerà il loro modo d’essere. Dobbiamo aiutarli a fare, al meglio, ciò che sanno già fare, ma proporgli anche sfide che possano raggiungere con un pò di sforzo.
Il nostro aiuto è fondamentale per costruire le condizioni affinchè possano apprendere. Per questo dobbiamo regolare la distanza da loro in modo che si sentano sia supportati, ma anche liberi di esplorare, inoltre iniziamo con
compiti semplici per salire con le difficoltà. Partendo con compiti troppo complessi si rischia che falliscano e si scoraggino in fretta. Rassicuriamoli se incontrano delle difficoltà normalizzandole: “è normale incontrare delle difficoltà le prime volte che si fa qualcosa”, occorre avere un pò di pazienza e non cedere all’impulso del: “dai, lascia fare a me che tu non sei capace…”.
– Invece che negare o ignorare le emozioni del bambino insegniamo che si possono nominare e sono passeggere.
La tendenza, spesso, quando vediamo qualcuno star male, è di provare a distrarlo o suggerire di non pensare al dolore che “tanto passa”. Certo, il dolore fisico o emotivo che sia prima o poi passa, ma questo atteggiamento rischia di far sentire poco compreso o non degno di attenzione chi lo prova e con i bambini può essere un rischio.
Es. Carlotta è caduta e sta piangendo perchè si è sbucciata il ginocchio.
Vede la mamma ed esclama: “sono caduta e mi sono fatta male!”
La mamma risponde: “non piangere, è tutto a posto. Non essere triste, stai bene. Solo la prossima volta stai più attenta.”
Questa conversazione non è efficace, perchè la mamma non riconosce il dolore della bambina, chiede di non provare un’emozione (non esser triste), di fatto impossibile, noi non abbiamo il controllo delle nostre emozioni, semmai possiamo controllare le nostre reazioni. Può darsi che se quel atteggiamento perdurasse nel tempo la bambina dell’esempio potrebbe iniziare a credere che ci sono emozioni che è meglio nascondere o non esprimere perchè non sono convenienti.
Molto meglio la seguente comunicazione:
Es. Carlotta è caduta e sta piangendo perchè si è sbucciata il ginocchio.
Vede la mamma ed esclama: “sono caduta e mi sono fatta male!”
La mamma risponde: “Chissa che male! Ho visto che sei inciampata e ti sei sbucciata il ginocchio. Poi cos’è successo?”
Carlotta: “è venuta la mamma”
Mamma: “giusto, ti ho abbracciata e coccolata, ti senti meglio?”
Carlotta: “si”
Mamma: “vuoi che ti faccia vedere come è successo che sei inciampata?
Carlotta; “si”.
Quando possiamo dare un nome alle nostre esperienze dolorose o spaventose, quando cioè riusciamo a venire a termini con esse, queste esperienze spesso ci appaiono meno terribili e strazianti.
Aiutando i figli a dare un nome al loro dolore e alle loro paure li aiutiamo a dominarli.
Davide Boraso
Psicologo – Psicoterapeuta
Terapeuta EMDR e MindfulnessBCT.
Bibliografia
Siegel D. – 12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale dei bambini Ed. Raffaello 2012
Siegel D. – La mente relazionale Ed. Raffaello 2012